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La nascita delle Regioni

L’istituzione delle Regioni a statuto ordinario, avvenuta nel 1970, pose in primo piano il problema del riassetto di strutture e funzioni degli enti locali e di quelli camerali e della riscoperta della vera funzione delle CdC, allo scopo di scongiurare la “minaccia” rappresentata dalla creazione degli enti regionali. Prese avvio, pertanto, un lungo processo di discussione interna; dopo gli entusiasmanti anni 50 e il periodo “facile” del boom economico, durante i quali l’Unione aveva trovato modo di esprimere il proprio ruolo pubblicistico in modo spontaneo, le scadenze e le scelte organizzative imposte dalla programmazione non consentivano più di rinviare la legittimazione di tale ruolo.

Con l’arrivo della legge delega n.382 del 22 luglio 1975 le camere furono costrette a ricercare strategie per evitare di venire a trovarsi in posizione strumentale (o, addirittura, subordinata) nei confronti dello Stato e delle Regioni. L’Unioncamere istituì allora una commissione per lo studio dell’applicazione della legge 382, “con il compito di elaborare proposte di intervento a salvaguardia del ruolo autonomo delle Camere”.

Presero l’avvio, dunque, due processi distinti: uno, di grande impatto programmatico, che mirava all’”autoriforma” delle Camere; l’altro, che portava alla modificazione delle disposizioni statutarie sul metodo contributivo. Il primo, l’autorifondazione, rappresentava un rinnovato “contratto sociale” fra l’istituzione camerale e le categorie economiche. E il nuovo contratto sociale richiedeva di venir sancito da una nuova costituzione.

Negli ultimi anni ‘70 s’impose in termini nuovi la questione della riforma delle Camere, dell’autoriforma dell’Unione, chiamata a divenire sempre più un momento di sintesi delle CdC e di un’unità federale in grado di esprimere una rappresentatività piena e riconosciuta.

L’Unione ebbe un rinnovato slancio dopo che (come previsto dal decreto presidenziale 616/77) venne confermata la legittimità delle Camere a far parte del nuovo assetto istituzionale dello Stato e sancito l’importante principio che una legge nazionale dovesse provvedere alla riforma dell’ordinamento camerale.

Il dibattito venne fondato sulla considerazione dell’esistenza di uno slittamento dell’attività camerale da incombenze burocratico-amministrative a compiti e funzioni tecnico-operativi, di studio, di progettazione e di promozione dell’impresa e dell’imprenditorialità. Da quel momento il sistema camerale si andò evolvendo intorno al concetto di “rete” ed in questa prospettiva venne ripensato anche il ruolo dell’Unioncamere.

Il problema che le Camere si trovarono ad affrontare nella seconda metà degli ani ’80 fu quello della “identificazione” : volendo rappresentare adeguatamente il mondo economico e il sistema delle imprese , era indispensabile che le imprese potessero identificarsi nella rappresentanza politica e istituzionale delle Camere di Commercio.

Ormai erano maturi i tempi per la regolazione legislativa del sistema camerale, L’Unioncamere, senza attendere riscontri da parte del potere centrale, avviò una progettazione autonoma, istituendo – il 26 luglio 1986 – una Commissione di studio per la riforma delle CdC. Fu necessario, però, attendere ancora perché lo sforzo di “fare sistema camerale” si attuasse: il 29 dicembre 1993 andò in porto, dopo un cinquantennio, la legge di riordinamento delle CdC, tuttora in vigore. Si tratta di una legge che, per diversi aspetti ha codificato le trasformazioni avvenute grazie al cammino di autoriforma intrapreso molti anni prima e, per altri versi, ha aperto nuove prospettive al sistema camerale.

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